• Un nuovo umanesimo guidi le nostre scelte

    L’essere umano e la sua dignità sono la misura di ogni scelta politica: è questo il cuore del nostro manifesto per un nuovoumanesimo pubblicato da Il Foglio e che trovate a questo link https://www.rigenerazionedemocratica.it/appello
    Nuovo umanesimo non significa solo proteggere la salute e il benessere delle donne e degli uomini di questo Paese, ma farne il vero metro di valutazione del nostro agire, porre le loro ambizioni e fragilità come il motore di ogni cambiamento. Come diceva De Gasperi “Politica vuol dire realizzare”: è una frase che ci riporta a uno dei compiti fondamentali della democrazia, compiere scelte per il bene della comunità. Nel manifesto troverete una mappa per ridisegnare insieme il futuro, il rapporto tra l’Italia e l’Europa, le sfide del lavoro con la trasformazione digitale e dell’ambiente, la ripresa della dimensione sociale dopo la pandemia. Aspetto il vostro contributo di idee e la vostra partecipazione.

    Un nuovo umanesimo guidi le nostre scelte

    RIMETTERE AL CENTRO LA PERSONA – La funzione dei progressisti è oggi più che mai quella di mettere al centro di ogni scelta l’uomo, le sue fragilità e le sue ambizioni. Ancora di più dopo l’avvento pandemico che in Italia e nel Mondo ha modificato l’assetto economico e sociale delle nostre vite.

    La pandemia ha acuito disuguaglianze e polarizzazioni nelle nostre società: le economie in difficoltà, le famiglie fragili hanno sofferto maggiormente l’impatto della crisi; le economie più forti, i luoghi con maggiori opportunità sembrano inevitabilmente più capaci di ripartire e convivere con gli effetti nefasti del contagio.

    L’uragano pandemico ha accelerato i processi già in atto nella politica. Essa è stata a lungo condotta nel dopoguerra da organizzazioni stabili, i partiti, che poi sono stati travolti dalle trasformazioni economiche, sociali e culturali della fine del secolo scorso; si è quindi basata sulla centralità di figure di leadership personali, con carattere manageriale e flessibile, in grado di incarnare la capacità di far fronte alla fluidità degli strumenti comunicativi e delle mutevoli aspettative degli elettori.

    Questo “nuovo” assetto, concentrato su leader mediatici è entrato in crisi: sia perché la narrazione di una presunta eccellenza personale, ad elevato narcisismo, ha aperto la strada alle teorie populiste (più radicali e maggiormente efficaci), sia perché queste leadership sono costruite su debolezze di fondo nella capacità di agire e realizzare, elementi che la pandemia ha messo in piena evidenza.

    “POLITICA VUOL DIRE REALIZZARE” – D’altro canto, è sempre attuale la frase di Alcide De Gasperi: “Politica vuol dire realizzare”. La fatica delle scelte ha invece rallentato molte democrazie occidentali, lontane dalla capacità di essere “decidenti” e “realizzatrici” sono state spesso portate sul banco degli imputati per l’incapacità e gli errori nelle reazioni. La pandemia ha visto reagire in modo assai variegato gli Stati. I più fragili ne hanno subito l’impatto senza reagire, gli Stati a Governo autocratico hanno usato l’enorme macchina statale (repressiva) per isolare e interrompere i contagi, le democrazie occidentali hanno in alcuni casi balbettato, sono apparse troppo spesso prive di strumenti di intervento per tracciamento e tamponamento e hanno provato a mediare tra interessi economici e sociali differenti. Il rischio che si corre è la messa in discussione del potere di delega insito nella nostra democrazia e infine della democrazia stessa, che necessita di una profonda rivisitazione per poter recuperare quella credibilità politica capace di governare fenomeni complessi e spiegare scelte di lungo periodo, in altre parole per promuovere un metodo innovatore e condiviso.

    UN NUOVO FEDERALISMO – La pandemia in Italia ha messo altresì in evidenza l’enorme contraddizione dell’architettura federalista del Paese. Il nostro modello è nato da un processo di devoluzione spesso privo di criteri di logicità, con livelli di responsabilità sovrapposti e spesso confusi, che spesso sono andati a detrimento di efficacia e diritti.

    C’è una diffusa consapevolezza di aver attribuito negli anni alle Regioni un eccesso di funzioni amministrative (nonostante uno scarso controllo civico) ponendole in costante competizione con i Comuni.

    La riforma dell’abolizione delle Province e la nascita delle città metropolitane, ad esempio, ha ulteriormente indebolito l’architettura federalista. Anche la riforma del Titolo V dei primi anni Duemila è stata evidentemente approssimativa rispetto a un modello di Stato che non ha avuto alcuna evoluzione davvero federale, il risultato è stato quello di una contrapposizione di strutture che hanno troppo spesso immobilizzato il paese.

    Anche durante la pandemia si è creato un cortocircuito tra le scelte nazionali e quelle regionali con l’assenza di una catena di comando chiara e reazioni differenziate al contagio che hanno causato, in alcune zone dell’Italia, spaesamento e rassegnazione. Un insegnamento che deve portarci con urgenza a rivedere i confini e i ruoli delle Regioni italiane, far nascere poche città metropolitane realmente dotate di autonomia per fronteggiare una competizione internazionale tra le metropoli e definire regole chiare e aggiornate nel rapporto tra Stato, Regioni ed enti locali, per superare la frammentazione di competenze che oggi causa tanta burocrazia a imprese e cittadini.

    L’EUROPA E L’ITALIA: I CAMBIAMENTI DI CUI ABBIAMO BISOGNO – Occorre ripensare questo modello, come pure rivedere il rapporto tra l’Italia e l’Europa e il contributo di questa allo sviluppo del nostro Paese. Un contributo di cui abbiamo bisogno in modo strutturale e non più episodico. L’Europa ha potuto fare un salto di qualità grazie all’affermazione delle forze socialiste e liberali, nonostante le più fosche previsioni di un’affermazione dei nazionalisti.

    La pandemia ha chiarito la distinzione tra queste forze politiche e culturali in modo ancora più chiaro: la scelta di anteporre la protezione della vita umana a qualsivoglia altro diritto è stata la nostra stella polare, l’affermazione di un nuovo umanesimo è necessaria per misurare le nostre azioni nel post pandemia. I nuovi bisogni delle persone come faro e misura di ogni scelta politica. Non solo gli astratti dati economici o i modelli finanziari, ma la concretezza della centralità della dignità umana.

    “Nuovo umanesimo” significa affrontare le due grandi sfide economiche e sociali del nostro tempo – la transizione ecologica e digitale – facendo prevalere gli effetti positivi dell’innovazione. Ormai è chiaro che ogni cambiamento provoca impatti da governare. Pensiamo alla rivoluzione in atto nel mondo del lavoro, e alla necessità che di più (e non di meno) il lavoro sia lo strumento di realizzazione personale e sociale. Pensiamo alla trasformazione radicale del sistema sanitario e sociosanitario, soprattutto di fronte all’aumento della domanda di benessere e salute utilizzando innovazione e capillarità del servizio.

    La pandemia ha costretto i più giovani a una povertà educativa e relazionale. Ma gli adolescenti di oggi saranno la risorsa intellettuale e professionale trainante del Paese. Non siamo dotati di una macchina del tempo ma abbiamo la possibilità di consentire il riscatto di quanto gli è stato tolto con un incisivo intervento sulla formazione degli individui, una radicale riforma redistributiva per le giovani generazioni.

    La parità di genere non può essere solo uno slogan, ma si deve confrontare con le nuove paure e fragilità con le quali le donne convivono da sempre e ancora di più in questo anno di pandemia.

    MERITO O CONDIVISIONE – Da diversi anni anche i partiti progressisti si fanno portavoce di istanze volte alla costruzione di una società auspicabilmente sempre più meritocratica. Eppure, il concetto di merito, così come realizzato oggi è troppo concentrato sul punto di arrivo, senza la giusta considerazione prestata al punto di partenza, senza valutare se il vincitore della gara fosse partito due, dieci, cento metri più avanti rispetto al suo concorrente.

    Il risultato di un approccio che guarda solo al risultato ha finito per far scadere il concetto di “merito” nel più semplice – e comunque del tutto diverso – concetto di “successo”, rendendo difficile il credo secondo il quale “ci stiamo dentro tutti insieme”, e alimentando un altro tipo di sentimento, secondo il quale i vincitori tendono sempre di più a ritenere un risultato personale il proprio successo, e i perdenti a sentirsi considerati con disprezzo da coloro che stanno in cima. Anche questo aiuta a comprendere perché chi è lasciato indietro dalla globalizzazione tende a covare rabbia e risentimento e a lasciarsi attrarre dai populisti di stampo autoritario che si scagliano contro le élite e promettono di rivendicare con più forza i confini nazionali.

    GLI EFFETTI POSITIVI DELL’INNOVAZIONE – Questo è il momento in cui si devono definire prospettive ed assumere decisioni che mettano al centro l’essere umano. In questo contesto la transizione ecologica e digitale, le due grandi sfide del nostro secolo, possono essere vinte sapendo far prevalere gli effetti positivi dell’innovazione. Ma ogni cambiamento provoca importanti impatti che devono essere governati, senza nascondere ciò che provoca trasformazioni ma ponendo ogni sforzo per limitare gli impatti critici.

    Partire dalle persone significa leggere, comprendere e creare le condizioni per rispondere ai nuovi bisogni individuali e collettivi. La nostra società può affrontare questa crisi solo se recupera il senso di comunità, le persone e la complessità della loro ambizione sono la ricchezza più forte che abbiamo, proprio per questo occorre ricostruire una società solidale e generosa, lontana dalla società “somma di individui” che porta ad una crescente frustrazione e all’incapacità di riconoscere bisogni collettivi.

    QUALE RICCHEZZA? – L’esigenza di un nuovo umanesimo culturale incrocia la riflessione rivoluzionaria di Papa Francesco (“In un momento di estrema frammentazione, di estrema contrapposizione c’è bisogno di unire gli sforzi, di far nascere un’alleanza educativa per formare persone mature, capaci di vivere nella società e per la società”) e consente di definire il benessere e la realizzazione della persona come nuova misura dell’organizzazione sociale e della sua capacità di produrre ricchezza. Quale ricchezza? Il possesso di risorse e proprietà o la possibilità di potersi muovere e di avere relazioni sociali dell’istruzione e della conoscenza in senso ampio e profondo?

    Il premio Nobel Amartya Sen chiarisce che il fine dello sviluppo è quello di “creare una situazione, un ambiente in cui le persone, individualmente e collettivamente, siano in grado di sviluppare pienamente le proprie potenzialità e abbiano ragionevoli probabilità di condurre una vita produttiva e creativa a misura delle proprie necessità e dei propri interessi”. Non potremmo usare parole migliori per chiarire gli obiettivi del post pandemia e a ben vedere questo senso di ricchezza, inteso come opportunità, è già ciò che attrae le generazioni più giovani nella scelta delle priorità, negli spostamenti e nella decisione sui luoghi dove realizzare il proprio progetto di vita. Le istituzioni e la politica devono creare le condizioni di accesso alle nuove opportunità, per liberare le persone dalla paura dell’incerto.

    Questa consapevolezza è ancora più forte dopo la sofferenza della pandemia, non tornerà tutto come prima e non si stabilizzerà la situazione in pochi mesi o anni. Uomini e donne hanno lasciato forza e vita sul campo nel tentativo di aiutarci a vivere questa transizione. Nel loro rispetto nella loro memoria occorre tenere a mente gli insegnamenti e modificare in modo radicale i nostri comportamenti.

    Per cambiare il paradigma delle nostre politiche non bastano le grandi competenze, ma è necessario un profondo rinnovamento morale e politico. I progressisti che hanno difeso la dignità della vita, i “patrioti europei” che vogliono svolgere un ruolo globale, la cultura della sostenibilità e la tensione verso lo sviluppo tecnologico sono gli ingredienti e gli attori di una svolta culturale necessaria, ripartendo dalla difesa della dignità della persona dopo la pandemia, che ci ha spinti e deve spingerci oltre le nostre più recenti convinzioni.